PTL 2014 – parte I

31 Agosto 2014 at 18:40
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25-31.08.2014
PTL 2014 –  Chamonix (FR)
 

“Viaggia sempre con almeno due persone: acquisterai due maestri. Scegli quello che c’è di buono nell’uno per seguirlo e quello che c’è di cattivo nell’altro per correggerti.”  – CONFUCIO

“ Stai attento alle cattive compagnie” – MAMMA IVA

Chi l’avrebbe mai detto che un giorno a guidarmi per la retta via sarebbe stato Diego? Nel buio più profondo della nostra confusione, lui e il suo Garmin
(non chiamatelo TOM TOM perché è permaloso), riuscivano ad indicarci la luce.

Trovava la via d’uscita dal nevaio e subito dopo raggiungeva la cima
del Col de la Sassiere. Li, come un moderno profeta, riceveva dal Divino le tavole con i comandamenti della PTL che si riassumono in: cammina cammina
corri corri, cammina cammina corri corri. Questo è quello che racconta chi lo ha visto raggiante subito dopo, anche se lui dice semplicemente di avere avuto
l’illuminazione e capito lo spirito della PTL. Da noi raggiunto, l’illuminato ci fa togliere al volo e tenere in mano i ramponi (non è una nuova tecnica, ma pioggia
e vento impongono velocità) e ci apre un varco tra pericolose rocce scivolose guidandoci sulla via della salvezza. Oscar: il capitano che stabilisce la cadenza
del passo, ma ogni volta che fiuta mirtilli, lamponi, more e ribes, diventa l’UOMO DEL MONTE.. e ci permette di fare saccheggio. “ Fermo: quello non è ribes!
La tua PTL potrebbe finire qui” – pericolo scampato ed imparato un’altra cosa oltre al timo e al cardo…. – (quante cose sapremmo di più se avessimo un minimo  di ritenzione cerebrale). Ogni vallata ha il suo ruscello e lui, come un sommelier, non passa mai oltre senza sorseggiare il suo sapore e le sue caratteristiche.

Le notti della PTL sono fatte per scrivere tante storie, non per i sogni sotto le coperte. Per dare l’idea di cos’è la PTL, ne racconto uno spicchio (e neanche il più intenso).

Arriviamo alla palestra di Morgex e li il capitano fa il primo errore dopo quello di avere scelto me e Diego come compagni: si concede una doccia…
Cerchiamo di dissuaderlo, ma lui testardo, vuole levarsi e lavarsi di dosso quella corazza fatta di sudore, freddo, fango, puzza, vento, pioggia, stanchezza,
buio, sole, escrementi, peti, flati ( sui sentieri si usano termini meno ricercati). Io e Diego decidiamo di coricarci vicini su di un tappetino, ma poi lui toglie
le scarpe ed io decido di stendermi a dieci metri (non che il mio profumo sia migliore…).
Quando Oscar ci da l’imput per ripartire, Diego decide di fare la pedicure , rubando un po’ di tempo. Salutiamo Liviana che sorride, ma i suoi occhi non riescono a nascondere la preoccupazione nel veder procedere quell’uomo pulito, carico di dolori vecchi e nuovi. Testardo montanaro che non ha mai voluto farsi spalmare  amorevolmente la crema sulla parte che serve a sedersi, rotta dalla dolorosa forza dell’impatto con una roccia e che forse si è messo anche qualche sassolino nelle scarpe per espiare dei peccati mai commessi.
Lo sguardo di Liviana parla forte e chiaro: “abbiate cura del mio gioiello”, anche se sa che non sono le mani migliori a cui affidare quel tesoro errante. Quando la strada inizia a salire, nel bosco si materializza per Oscar il calvario: la doccia gli ha tolto la corazza senza dagli quei superpoteri che pensava di ottenere e ora si trova come un danzatore a mettere un passo dopo l’altro senza trovare il giusto ritmo.
Cala il buio… prima di Arpy raggiungiamo un altro gruppo. “ Allora nel bosco non ci sono solo streghe…. Ogni tanto c’è qualche fatina!..” E’ Raffaella. Il marito si è già fermato per problemi ed ora procedere a rilento anche l’altro compagno, in preda a problemi digestivi. Sta cercando un posto caldo ad Arpy dove fermarsi un paio d’ore per vedere di riprendersi.
Con lei c’è anche un ragazzo francese rimasto solo che chiede di potersi aggregare al nostro gruppo. Gli faccio presente che anche noi per il momento procediamo lenti, ma accetta. Salutiamo Raffaella, con la speranza di incontrarci più avanti. Il suo spirito di crocerossina le impedisce di accettare l’invito ad unirsi a me e Diego, abbandonando al loro destino il suo amico, Oscar e il francese…. Oscar soffre e il diavolo che mi porto dentro non può non tentarlo: “Conosco questo tratto e ai laghi c’è l’ultima via di fuga in Italia,
sali che sopra ci aggiorniamo…”. Preferisce salire dietro e solo. Arrivati al lago non gli lascio il tempo di riprendersi:” da questa parte, se vuoi, c’è un sentiero largo e in piano che sbuca  proprio di fronte ad un bell’ albergo, se invece vuoi proseguire sai cosa ti aspetta più in alto.” Apre le palpebre e mi guarda negli occhi… faccio un passo indietro per togliermi dal raggio di azione del suo gancio…
“ IO ARRIVO A CHAMONIX!”.
Riprendiamo la lenta salita al Col D’Ameran e passo dopo passo, pezzo su pezzo, la PTL ricuce la corazza di Oscar.

Nella successiva discesa la mia sconosciuta parte buona mi impedisce di proporre a Diego un video: io che ad ogni tornante mi fermo per aspettare Oscar. Quando mi capiterà un’altra volta?

La PTL ha partorito un mostro: io che non vedo Oscar in discesa…Il ragazzo francese decide che siamo troppo lenti e che il dialogo con lui non è dei più fluenti e per questo ci saluta  aggregandosi ad un’altra squadra. La discesa entra in un bosco e al momento di un guado difficoltoso, si perde la traccia.
Diego sa che riprenderà più in basso, ma quel guado balordo??? Quei bivi che c’erano più in alto?? Risaliamo, guardiamo le cartine, il roadbook, discutiamo e improvvisamente sbuca dal buio correndo, un folletto zainato (come mai solo??) che conosce già la via. Continua a correre anche se lo chiamo. Ci guardiamo e non lo vediamo già più…
“ Diego, seguilo che noi arriviamo”. Lui vola in discesa sul sentiero stretto con tornanti, al buio, nel bosco con rami bassi…. guada….e fiutando il percorso è già a valle che ci chiama.
Salita al Col Crosatie. Il sonno è ormai il quarto elemento fisso della squadra. Oscar dice che più avanti ci sono i resti di un rifugio investito per la metà da una frana, ideale per dormire.

Più avanti, più avanti, più avanti, più avanti….. Io e Diego ci guardiamo o meglio entriamo in telepatia visto le fessure dei nostri occhi: “quanto è affidabile il Capitano in queste condizioni?

Si alza il vento e oltre diventerà sempre più difficoltoso bivaccare.” Senza indugi siamo già sdraiati per terra. Diego è un ottimo alleato quando si decide di dormire. Cinque o dieci minuti…  perché il freddo già ci assale. Riprende la Via Crucis. Oscar non vuole nessuno vicino. Io e Diego ci alterniamo ai tornanti per tenerlo a distanza ravvicinata.
Che bella scusa quella di tenerlo sott’occhio per sederci ai tonanti e schiacciare ogni volta un pisolo….Sta albeggiando quanto raggiungo la cima riparandomi tra due rocce. Oscar sale lento. Il Col Crosatie gli ruba il respiro, sembra inghiottilo prima del tornante per rigettarlo subito dopo. A tratti Oscar sembra anche vivo. Come può un uomo sopportare tanto? Il buon Dio ci sta regalando un’alba magnifica.
L’ultimo tornante è li a quindici metri. Eccolo, lo affronta e invece di venire verso di me, va a sinistra. Non lo vedo più…. Starà riprendendosi? Non sono tranquillo. Passano attimi che sembrano eterni.

Non avrà mica fatto un gesto inconsulto per porre fine a tanta sofferenza? Come faccio a recuperarlo e cosa porto a casa a Liviana? Corro verso il tornante e tiro un sospiro di sollievo: lo vedo tremante, di spalle che sta fotografando l’alba, cercando di catturare tutti i mutevoli giochi di luci e colori. “ Dopo però mi passi le foto….”. la notte è passata e lui è ridiventato un tartarugo corazzato. Sulla successiva discesa le gerarchie vengono ristabilite ed io retrocedo nel mio ruolo.
Scendiamo quasi volendo rendere un tributo al ragazzo cinese che la montagna ha voluto a sé durante il TOR, cercando di capire quale potesse essere l’ultimo tornante che Lucio (la guida che per prima gli ha portato soccorso) ci ha descritto. Finita la discesa il sonno ingarbuglia i nostri passi ed è inutile voler arrivare ad un riparo in valle.
“ Apriamo il telo di sopravvivenza e mettiamoci qui in riva al sentiero.” “ Ma quel coso li ripara???”. “ Perché non l’hai mai provato??”. “ io no!! Ce l’ho da sette anni bello piegato”. “Sei morto!!!”.

La brezza trasmette il sottofondo musicale di un duello: Oscar e Diego estraggono subito il loro telo….. il mio è da anni in fondo allo zaino. “ Sei morto”. Lo aprono “ Poi ti aiutiamo a ripiegarlo”.
Io finalmente lo tolgo dalla confezione “ Sei morto”. Si stendono sopra e si avvolgono. Io comincio ad aprire un riquadro, un altro, un altro, un altro…. Finalmente una fila. “Sei morto.” Loro stanno già dormendo.

Un altro riquadro, un altro, un altro.. altra fila. “Sei morto”. Loro sembrano due patate americane pronte per la brace. Passano dei concorrenti che mi sorridono ( o deridono?). Amo il vento. Un po’ meno  quando mi fa i dispetti. Metto tutta la roba che ho tolto dallo zaino agli angoli del telo per tenerlo fermo e continua il mio lavoro….un’altra fila, un’altra fila, un’altra fila….”Sei morto”. Da come russano i miei  compagni comprerei con meno indugi quei due metri di terreno invece che i materassi proposti in sede. “Sei morto”. Finalmente apro tutto il telo e mi getto facendomi su come un baco.
E’ vero! Trattiene tutto il calore del corpo come un piumino, isolandolo dall’esterno. Gli occhi si chiudono….. “ Dai che andiamo. Datti una mossa che ti aiutiamo a ripiegare il tutto”. Esco dal mio bozzolo. Non mi sono trasformato
in farfalla. Il tempo per la metamorfosi è stato troppo breve, ma non posso dare a loro questa soddisfazione: “ Avete ragione! Si riposa talmente bene che sarei stato qui ancora un po’!”.
Rimetto nello zaino tutto il necessario per vivere che ho disperso per la montagna e ripartiamo.Penso di essermi sudato il diritto di fare alla rinfusa alcune considerazioni. (ringraziate il cielo che ho fatto passare una decina di giorni e non ho scritto di getto l’indomani – ogni volta che gli occhi si chiudevano, mi invadevano incontenibili emozioni e sensazioni -).
Non conoscere le lingue è stato un limite alla nostra esuberanza. Abbiamo conosciuto Carol, una ragazza dell’organizzazione, che parla molto bene l’italiano. Con lei abbiamo scherzato nei vari “punti vita” e ci è stata di validissimo aiuto. Impareggiabile. Speriamo di averle regalato un sorriso
(non solo per come eravamo conciati!). Grazie a Lucio, guida instancabile con il quale abbiamo condiviso impressioni e illuminanti informazioni. Un abbraccio a Gabriela che spuntava sempre dal nulla con la sua telecamera, anche quando la dignità per noi era solo un ricordo. Abbiamo condiviso tratti di percorso con squadre straniere e collaborato, sperimentando il linguaggio non verbale. Ho fatto l’ultima discesa con un gruppo di spagnoli, ridendo delle loro battute, senza capirle. Sono state un ottimo anestetizzante ai miei dolori.
E’ stato bello camminare con i miei compagni e condividere emozioni che sopravviveranno all’incalzante Alzaimer. Ci eravamo detti che non avremmo mai potuto arrivare da soli, ma strada facendo, questo sentirci “gruppo” costituiva sempre di più il nostro DNA. Come ho più volte detto, non riesco a spiegarmi la possibilità che viene data dall’organizzazione, di portare a casa un risultato, lasciando per strada i compagni, gli amici…
Mi è stato obbiettato: “E’ ingiusto per chi si è impegnato tanto nella preparazione, non poter poi arrivare a causa del compagno che ha abbandonato…”.
Gli amici con cui vivere le emozioni, li scelgo io, nel bene o nel male, e voglio condividerle in ogni istante ( compreso quella che a volte viene scambiata come delusione: lo scendere ad una fermata intermedia e non al capolinea). Io do importanza al percorso fatto fino a quel punto. Andare oltre, lasciando per strada i valori della solidarietà, dell’amicizia, della condivisione e altro, per me non ha senso. Per quanto riguarda la preparazione, mi logora l’adempimento
di alcuni doveri, non l’allenamento che, per quanto faticoso, rimane un hobby. Se non mi divertissi quando faccio le “ripetute” da solo, quanto esco in compagnia, quando Alberto mi ridimensiona alla terza salita
del Bisbino, avrei già smesso di correre!
Il bello di un sogno è AVERLO e prepararsi per questo. Magari non riusciamo neanche a partire, ma quanto è meravigliosa la strada per arrivare al via?? Mi piace che il gruppo tartarughe condivida questa impostazione e sia sempre pronto a festeggiare un sogno, indipendentemente dal suo realizzarsi. Come diceva un atleta sudamericano invalido, la tragedia della vita non è fallire un obbiettivo,  ma non avere più obbiettivi…
Durante tutto il percorso abbiamo sentito il fiato delle tartarughe sul collo. Personalmente io sentivo anche Sonia! Quando facevo qualche stupidaggine o in momenti particolarmente intensi, mi chiamava: “Mau, Mau…”. Più volte mi sono girato a vedere dove si nascondesse, perché troppo reale mi sembrava la sua voce!!!.
Quando ormai pensiamo sia tutto finito, ci vediamo arrivare a volo radente, piangendo e ridendo, Cristina (non era una corsa perché non toccava terra!). Ha virato all’ultimo momento per non cadere nel torrente e  si è lanciata tra di noi, scaricando tutte le emozioni in un abbraccio. Realizziamo che il bello deve ancora cominciare! Più avanti mi sorprende mia figlia che mi strappa qualche lacrima.
Ha voluto trovare il tempo  per venire e capire quale fosse quella forza che mi spinge spesso via da casa per tornare dopo aver lasciato litri di sudore su un sentiero. Tutto storto, ma con una paresi a forma di sorriso.

Poi via via Gianfranco, Anna, Mattia, fino al traguardo dove una miriade di tartarughe è lì solo per NOI!!!! Che spettacolo abbiamo dato! Che festa! Tutti a condividere la stessa gioia…Riabbraccio Sonia, che sapevo niente avrebbe trattenuto a casa. La sua voce è reale come lo è stata la sua presenza per tutta la PTL. Mi porta l’abbraccio anche di mio figlio, che non ha potuto venire. Devo ringraziare la mia famiglia per la libertà che mi lascia di prendere il mio spazio…
Un ringraziamento particolare lo dobbiamo ad ANDREA e FABIO: la spedizione di quest’anno è parte fondamentale e figlia di quello passato! Il percorso fatto nel 2013, ha gettato le basi per il cammino di quest’anno.
I battiti e i brividi provati hanno avuto la stessa intensità, anche se non siamo arrivati al capolinea. Dopo l’incubo del Col de la Sassiere all’ospizio du Ruitor, mentre tutto bagnato buttavo giù la seconda scodella del brodo caldo più buono mai gustato, ho giurato, testimone Lucio, la guida, che non avrei mai più fatto la PTL…

Non so se sono bravo a mantenere le promesse…

Maurizio