ColleMar-athon – Andrea
Il fuoco di un fornelletto da campo illumina i ciottoli della spiaggia di Fano. Un buon profumo di caffè e vin brûlé si spande nell’aria, quasi a coprire il profumo di salsedine di un mare così placido che persino il solo suono di una chitarra ne sovrasta lo sciabordio delle onde. L’umidità ha già imperlato i teli delle tende disposte in cerchio ed una decina di luci frontali fanno brillare come stelle le mille gocce di condensa. Il cielo prova a rispondere e, dietro a qualche nuvola timida, propone il suo spettacolo.
Domani Alessia, Fiona, Gianfranco, Giovanni, Marialaura e Maurizio esordiranno in Maratona e lo faranno in gruppo assieme ai loro amici Alberto, Antonietta, Antonio, Diego, Fabio, Guido, Laura, Oscar, Roberto e Vito. Qualcuno come Roberto li seguirà in bici ed altri come Elisa e Sonia aspetteranno pazienti al traguardo.
Ognuno dei sei esordienti ha la sua personale motivazione per correre la distanza regina del podismo, ma qualcuno in particolare ha maggiormente ispirato questa trasferta ed ha voluto affrontare questi quarantadue chilometri e centonovantacinque metri.
Senza la voglia di provarci di Alessia questa notte le Tartarughe non sarebbero probabilmente su questa spiaggia.
La notte passa lenta e tranquilla. Qualcuno russa, c’è chi si agita nel sonno, c’è persino qualcuno che non chiude occhio. La sveglia suona comunque inesorabile quindici minuti dopo le cinque.
Il campo si agita, tutti sono al lavoro per preparare la colazione, smontare le tende, arrotolare i sacchi a pelo, riporre i materassini e preparare la borsa da portare al via a Barchi. C’è chi a questa vita spartana si è un poco dovuto adattare, qualcuno invece si trova del tutto a suo agio.
Quello che è certo è che, seppur il giaciglio non sia stato dei più comodi ed il sonno sia stato poco, nell’aria si sente un’elettricità ed un’eccitazione palpabili.
Quello che la notte prima era stata la casa di sedici tartarughe diventa presto quattro sacchi. Sono le sette e le Tartarughe, chi con il pullman messo a disposizione dall’organizzazione, chi con mezzi propri, si mettono in moto verso Barchi.
L’arrivo è in grande anticipo, quasi due ore prima del via. Abbiamo tutto il tempo di prepararci. Ognuno di noi veterani ha i suoi riti, qualcuno degli esordienti è un poco nervoso. La tensione si scioglie subito non appena il gruppo si riunisce per le solite foto di rito. Alessia riesce persino a farsi autografare il pettorale ed a fare una bella fotografia con il mitico Giorgio Calcaterra. Giorgio lascia anche il suo personale “in bocca al lupo” sul numero di gara di Alessia.
Quale miglior augurio per la sua prima Maratona.
Con calma ci disponiamo al via, le strade lastricate di Barchi non rendono agevole lo scorrimento verso la partenza, ma senza fretta raggiungiamo l’arco della porta dalla quale sfileremo alle nove esatte. Sale l’eccitazione, si prende ancora qualche veloce accordo sulla strategia di gara. Lo scopo oggi è correre tutti assieme.
Giusto il tempo di uno sorriso, una stretta di mano e di un cinque battuto con timidezza, che la grande avventura ha inizio.
Partenza regolare e senza intoppi, lo scivolo ci scorre sotto i piedi in un lampo e in pochi minuti siamo fuori dal paese. Davanti a noi gli splendidi paesaggi delle colline marchigiane ci fanno dimenticare quanti chilometri e quante salite dovremmo affrontare.
Ci sarebbero mille maniere per raccontare quanto è successo lungo i quarantaduemila e centonovantacinque metri che abbiamo percorso domenica, ma nessuna di essere renderebbe l’emozione che ognuno di noi ha provato.
Penso che le Tartarughe abbiano toccato i cuori di tutti, non solo per il modo in cui hanno deciso di correre la loro ColleMar, non solo per l’allegria contagiosa del gruppo, non solo per la gioia radiante di Alessia, ma soprattuto per quell’immagine semplice ma coinvolgente di squadra che abbiamo saputo godere in primo luogo noi e poi regalarla ai cinquecento volontari e alle migliaia di persone disposte lungo il tracciato.
Credo che sia questa la reale ragione per cui noi tutti si debba ringraziare specialmente Alessia.
Ogni chilometro ha avuto il senso di una vera conquista. Ogni ristoro il festoso trambusto di una festa.
A partire dal decimo chilometro abbiamo iniziato a rendere omaggio ad ogni cartello chilometrico. Alessia ha intonato un “Hip Hip Hooray” per le sue tartarughe ogni volta.
Abbiamo riso, scherzato, aspettato chi rimaneva indietro e persino sorseggiato l’immancabile birra. Abbiamo assaggiato un salame buonissimo, brindato con amici occasionali e raccontato decine di volte dove fosse la Kirghisia.
Alessia ha sempre tirato il gruppo, poche volte non è stata in testa alla comitiva. Alle sue spalle faceva la guardia la nostra piccola grande campionessa, Antonietta, che con la sua sconcertante facilità di corsa univa la testa del gruppo alla coda, facendo avanti ed indietro decine di volte. Probabilmente alla fine lei avrà corso anche sessanta chilometri.
Tutti ci siamo alternati in testa al gruppo per dare il ritmo ai nostri amici assieme ad Alessia. Abbiamo un po’ tutti ansimato in salita, qualcuno ha chiesto il cambio quando si è trovato in difficoltà e nessuno ha dovuto attendere che un compagno gli venisse in aiuto.
Abbiamo dovuto frenare quelli davvero forti come Alberto e Oscar.
Anche la pioggia ha bagnato la nostra corsa, senza rovinare però la nostra esperienza, anzi, regalandoci quella frescura che ci ha permesso di non scoppiare sotto i raggi del sole.
La magia poi ha avuto inizio da quel punto che tutti i maratoneti conoscono e aspettano.
Alessia ci aveva promesso un supporto speciale dal trentesimo chilometro in poi, e ha mantenuto la sua promessa con dolcezza e attenzione. Ci ha osservati e ha saputo cogliere in ogni nostra smorfia, silenzio o sguardo la nostra fatica. Alessia non ci ha mai fatto mancare in “bravi” o un “coraggio”. La sua voce, per quanto dolce e calma, era forza pura, energia, gioia infusa per quello che stavamo facendo.
Quando abbiamo superato le ultime vie del centro storico di Fano e abbiamo rallentato per attendere chi stava un poco soffrendo nelle retrovie, abbiamo iniziato a capire cosa avevamo compiuto.
Credo che nessuno di noi abbia avuto abbastanza fantasia per avvicinarsi anche di un poco a quello che la nostra ColleMar è stata nella realtà.