LA CULMAN VERTICAL

23 Ottobre 2021 at 20:23

LA CULMAN VERTICAL

Sottotitolo: ( Datemi 10 metri di respiro)

 

Sarò breve, perché breve è la corsa e la cronaca non può andare oltre.

Presentano i papabili alla vittoria e un po’ me la prendo perché tutti fingono di non conoscermi. Decido di fagliela vedere, parto subito dietro i top. Sembrano creature normali, ma si vede subito che sono diversi da noi……intanto corrono.

Dopo 10 metri incominciano gli scalini. Sono già nella pancia del gruppo e rimpiango la comodità degli ascensori.

Mi violento, alzo la testa e li vedo già in mezzo agli angeli, mentre gli altri poveri diavoli mi hanno già lividato (riempito di lividi). Non c’era bisogno di farmi male, bastava chiedere permesso.

E’ proprio vero che la gente si diverte a stare male. Basta osservare quelli che si sono iscritti qui.

E come spiegare diversamente chi paga e dà spintoni per saltare le file alle attrazioni tipo montagne russe, dove sai che prenderai in giro l’amico che starà peggio all’arrivo?

La lucidità l’ho tolta al via, assieme alla mascherina. Per istinto so solo che devo salire e, come in un videogioco, devo svicolare i bastoni che vogliono stigmatizzarmi e trafiggermi.

Mi chiedo perché vengo a provare il percorso se poi non è mai quello giusto.

Anche se non conosco questi gradini, so che non sono infiniti come appaiono, ma sono “appena” 600 metri. Sono certo che, come nella vita, una tribolazione non è per sempre. Infatti, dopo questa…….10 METRI DI RESPIRO e ce n’è subito un’altra pronta ad aspettarmi e a far rimpiangere i gradini.

È un sentiero che ammicca a chi vuol fare fatica. Qui puoi decidere come salire, ma non ci sono fraintendimenti: devi tribolare. Sulla faccia di tutti leggi subito, senza equivoci, che sono stati accontentati. Visto che è permesso il “free style”, applico subito la tecnica del “gattonare” appresa da Cesare, il mio gatto. Con lui condividevo il divano, le carezze e l’amore della stessa donna (lui riusciva a rubarle anche qualche bacio).

Mi artiglio a tutto quello che è a portata di mani. Alberi e pietre mi propongono prese per aiutarmi a salire. Sono un uomo rude, armato di due mani delicate da estetista. La mano rossa di sangue mi riporta alla realtà: sto disperdendo piastrine sul percorso.

Altri 10 METRI DI RESPIRO in cui sono come un annegato che emerge per respirare e cerca di aggrapparsi a qualcuno. Ma quello corre e mi scivola via e io vado ancora più giù (in questo caso su).

Come in tutti i giochi sadici non mancano le catene. Ma sono superflue e le rocce che fino a qui mi hanno spinto, ne avrebbero a male se le utilizzassi.

E’ un percorso da fare tutto d’un fiato. Penso però a quei pochi che erano dietro di me. Si devono essere trovati in debito di ossigeno perché sono diventato bionico: un potente aspiratutto di ossigeno e un mantice di anidride carbonica. Dove passava Attila non cresceva più l’erba. Dove passo io non c’è più ossigeno. Non fatevi un film sulla scena, non sarebbe una bella visione.

Su questo terreno, dove le parole non escono, bastano solo espressioni e gesti. Non manca però chi, fermo e saldamente ancorato ad un albero, mi incoraggia. Per ringraziare alzo il pollice a pugno chiuso. Lui fraintende e mi grida che gli dispiace…. non può darmi un passaggio.. va da un’altra parte.

Ma quanto sono interminabili questi tre chilometri? Non ho ancora alzato lo sguardo da terra, ma da un momento all’altro mi aspetto un : “ anche tu qui??” da Babi e Step i protagonisti di Tre metri sopra il cielo.

Da Cesare ho imparato anche a capire quando è il caso di farsi da parte, ma a riprendere poi, se possibile, il mio posto. Questo avviene ripetutamente con gli altri concorrenti che come me temono di restare senza croccantini. Ma, ormai da troppo tempo, ho vicino, troppo vicino, quasi volesse abusare di me, UNO (scusate se uso un articolo indeterminato, ma non so che nome dare a uno che, senza dignità, tra il picchiettio dei bastoncini e il rantolamento dei polmoni, sembra un assordante treno a vapore).

Usciamo dalle rotaie (scusate dal sentiero) e sbuchiamo sul selciato finale.

10 METRI PIANI IN CUI SI POTREBBE RESPIRARE.

Il selciato è largo e subito ci mettiamo alla pari. Non abbiamo la forza di alzare lo sguardo, ma gli occhi sono fissi sui piedi degli altri. L’UNO con i bastoni scatta e io mi metto subito a ruota (scusate ma ho un passato da ciclista). Il terzo, che dal tifo è un idolo locale, accenna ad una reazione, ma capisce subito che per lui non è giornata di gloria. Il bastoni munito, mi dà cinque metri, ma ha lanciato la volata troppo lunga e ora c’è uno strappo di venti metri.

Lo risucchio insieme all’ossigeno, lo affianco e a questo punto so che per lui è finita. Vorrei fagli un’espressione cattiva, ma non riesco a cambiare quella che mi è rimasta stampata da ebete.

Per questo giro la testa e in progressione annullo il suo tentativo di reazione.  Penso non ci sia mai stata una volata così pateticamente lenta, ma oltremodo piena di cattiveria.

Il mio amico Giorgio, orgogliosamente mi corre incontro. Non mi abbraccia, perché mi sarebbe bastata una seconda per vincere il titolo di “miss maglietta bagnata”, ma mi assale di domande.

E’ un tipo paziente e ha saputo aspettare che, da piegato in due, ritornassi in posizione eretta (giusto quei cinque minuti), per rispondere “tutto bene”.

 

Riassumendo: la Culman è un vertical di 920 metri di dislivello, concentrati in 2,8 chilometri.

I primi 600 metri sono scalini che si inerpicano pittoreschi e curiosi tra le case di Moltrasio.

Il resto è un sentiero boschivo. Esclusi i tre tratti di 10 metri è tutto una decisa salita.

L’organizzazione e i volontari sono di ottimo livello. Il bel tempo e i bei panorami sono stati complici della bella giornata.

Corsa breve, ma dai sentori intensi, che lasciano un retrogusto che dura a lungo.

Se vi piace giocare con la fatica, mettetelo nel vostro calendario.

Se cercate anche la vittoria, non dovete andare oltre i 32 minuti.

 

Maurizio